L’istinto di narrare

Come Tom Sawyer quando deve imbiancare lo steccato, gli autori ingannano i lettori inducendoli a compiere la maggior parte del lavoro di immaginazione. La lettura è spesso considerata un atto passivo: ci sprofondiamo in poltrona e lasciamo che la musica dello scrittore suoni nel nostro cervello. Ma non e affatto così Quando entriamo a contatto con una storia, la nostra mente macina a getto continuo.
Talvolta gli scrittori paragonano la propria opera alla pittura. Ogni parola è un tratto di colore. Parola dopo parola – pennellata dopo pennellata – lo scrittore crea immagini che hanno tutta la profondità e la vivezza dell’esistenza reale.

Quando leggiamo delle storie, questo corposo sforzo creativo è continuamente in atto, procede instancabile al di fuori della nostra consapevolezza. Ci imbattiamo in un personaggio che è «di bell’aspetto» con «uno sguardo fiero» e zigomi «affilati come lame». E da questi piccoli indizi noi costruiamo un essere umano che non solo possiede quegli occhi (scuri o chiari?) o quegli zigomi (rubizzi o pallidi?), ma anche un certo tipo di naso e di bocca.

stNarrare può sorprendere, divertire ed educare.  Le storie ci possono rendere più profondi, possono darci piacere.
La mente umana capitola impotente al risucchio di una storia forse perché il gioco di immedesimazione è in realtà un divertimento serio da morire.
Narrare è trovare qualcosa di nuovo, è chiudere gli occhi e lasciare che il particolare risalga da solo alla coscienza affettiva. E’ fermare il tempo, lasciare che qualche altro veda con i tuoi occhi…

Jonathan Gottschall, L’istinto di narrare, traduzione di Giuliana Olivero, Bollati Boringhieri, 2014.

Libro

Il libro ci appariva perfetto. Non migliorabile, concluso, definitivo. Naturale, come qualcosa che non può essere altrimenti da com’è. Come un oggetto antico e familiare, semplice e levigato dal tempo. Come un cucchiaio, è stato autorevolmente detto. Una forma compiuta.
Credevamo che il libro – il nostro libro, quello che maneggiavamo tutti i giorni – fosse qualcosa di permanente, forse di perenne. Destinato a durare per sempre. Non ci sembrava immaginabile né una vita senza libri né una forma diversa del libro. E d’altra parte il fatto che qualcosa che aveva assunto la forma di libro duemila e cinquecento anni fa continuasse a esistere, e non solo nel senso puramente passivo di un reperto museale, ma in quello ben più vitale di un oggetto di compravendita, ci pareva una prova inconfutabile e una garanzia di sopravvivenza. Ma nel libro vedevamo anche una sorta di talismano, una promessa (o un’illusione) di durata, forse di eternità. Ed è stata questa, probabilmente, la ragione profonda che ha spinto personaggi i più disparati – cui la vita non aveva certo negato ogni genere di soddisfazioni – a voler comunque scrivere un libro. Per restare, per durare.

librookI libri hanno sempre attraversato il tempo. Sono vivi, vitali, parlano con noi, ci insegnano, ci consolano. Sono pieni di parole e sono destinati a durare nel tempo.
La stampa sembra venire da un altro mondo. E’ fatta di due procedimenti diversi fra loro come il trasferimento e l’impressione…
“La stampa che conosciamo noi è figlia dell’industria, non dei torchi di Gutenberg. Ma riconosciute tutte le buone ragioni dei continuisti e deposto quel tanto di retorica che può esserci negli entusiasmi baconiani, resta il fatto – primario, essenziale, irriducibile – che la stampa è una cesura netta nella vita del libro, interrompe una tradizione e ne inaugura un’altra. Insomma, la stampa non è una trascrizione, è un cambiamento di stato. Il libro diventa un’altra cosa, nasce – o rinasce, se già esisteva in forma manoscritta – nel momento e nel luogo in cui viene stampato. E questo momento non è un’espressione generica, un modo di dire, ma è una data precisa, una data di nascita. Giorno, mese e anno di cui l’anno, insieme con il luogo viene indicato su ogni copia del libro stampato.”
Il libro stampato… Un oggetto a sé stante, un utensile versatile che risponde a un bisogno di conoscenza, un emblema glorioso, una ricca felicità.
“C’è qualcosa di intrinsecamente innaturale, quasi magico e per questo così attraente nella stampa tipografica, come sarà poi per molte altre grandi innovazioni tecnologiche. La copiatura a mano è nell’ordine naturale delle cose, in sequenza lineare alla stesura originaria, un suo prolungamento. La stampa è una cesura, un mutamento di stato. Nessun prolungamento naturale, ma un arresto, per una fase di preparazione lunga, complessa e poco comprensibile. Che si conclude per dar luogo in brevissimo tempo a una sorta di miracolo, un gran numero di copie tutte insieme e tutte perfettamente uguali (o quasi…).”

Gian Arturo Ferrari, Libro, Bollati Boringhieri, 2014.

Un posto sbagliato per morire

tuzziLeggendo Hans Tuzzi possiamo osservare quanta abilità può rivelare la narrazione e come ogni frase sia tesa, ogni immagine piena. Ogni dettaglio, anche il piú insignificante, è importante.
Poi, all’improvviso, qualcosa di torbido e inesprimibile emerge alla superficie, cercando di penetrare, di afferrare qualcosa. E la nozione del tempo traballa come un vagone dall’asse allentato…

Hans Tuzzi, Un posto sbagliato per morire, Bollati Boringhieri, Le Piccole Varianti, 2014.

Nel libro della vita

nellibrodellavitaLa vita la fa da protagonista in questi racconti. Incontri amorosi, donne alla reception, fermate della metropolitana, villette a schiera, ciliegi spogli sul lungofiume, villette intonacate nei canyon, sigarette francesi, tubini neri da cocktail, luci degli aeroporti, coppie di candelabri di cristallo… Storie che esplorano tensioni inter-generazionali di famiglie ebree. Racconti di complicate rivalità, di tristezze come macigni, di perdoni insperati, di ricordi e speranze, di morti e di finestre con una luce meravigliosa.
La mancanza di comunicazione tra i personaggi è il tema che attraversa tutto il libro. Leggendo si sente che chi scrive nutre un’illimitata passione per il bagliore del ricordo e per il gioco dell’intima fantasia.
Stuart Nadler è uno scrittore elegante e un narratore avvincente. Svela la complessità nascosta nella vita ordinaria ed è molto abile a creare tensione attraverso dialoghi… obliqui. La sua scrittura condivide l’ossessione di Updike per le piccole città (e per la morale della sua classe media), ma ha anche molto dell’umorismo nero di Roth. Poi, in certi momenti, sembra di leggere Saul Bellow o Isaac B. Singer o Bernard Malamud…

Stuart Nadler, Nel libro della vita e altri racconti, traduzione di Costanza Prinetti, Le Piccole Varianti, Bollati Boringhieri, 2014.

I biscotti di Baudelaire

lo e Gertrude Stein fummo invitate con alcuni amici, in una proprietà della Camargue, una penisola di circa quindici chilometri quadrati nel delta del Rodano. Partimmo in macchina, una mattina di fine autunno, verso la distesa di paludi deserte, passando sopra ponti di barche, fino alla tenuta di S., nella quale doveva aver luogo la riunione e la colazione. La casa era molto vecchia e non ci viveva nessuno tranne il custode. Il padrone la usava solo quando andava a caccia o a pesca con gli amici. Gli uomini tornavano con pesci e cacciagione che venivano consumati a colazione (i francesi non hanno l’abitudine di far frollare la selvaggina). Nella sala da pranzo, enorme, c’era un camino con un gran fuoco. Le donne prepararono la tavola con i piatti pronti e gli oggetti che avevano portato con sé, patés di carne e di pollo da riscaldare, gelatine, burro e uova, bicchieri, argenteria e tovaglie. Io e Gertrude Stein venimmo intanto accompagnate ad ammirare due fenicotteri che bevevano e alcuni piccoli tori bianchi, i discendenti dei tori selvaggi. Gli uomini, di ritorno col carniere pieno, furono accolti con rumorose esclamazioni di benvenuto. Si scelsero subito i pesci e la selvaggina da cucinare. Furono affidati al custode perché li spennasse e li pulisse, sotto la supervisione di qualcuna delle donne. Il fuoco del camino venne subito ridotto, in modo da poterlo usare per gli arrosti allo spiedo. Le anatre selvatiche che erano state scelte non ci avrebbero messo molto a cuocere. Sullo spiedo ce ne stavano otto alla volta, e altre sarebbero state messe ad arrostire mentre si tagliavano e si mangiavano le prime. Le lamprede vennero spellate e pulite (gli uomini erano molto orgogliosi di averle pescate in quella stagione nel vicino Rodano), tagliate a lunghi pezzi, ciascuno avvolto in una fetta sottile di lardo, e cotte alla griglia, sulla brace, mentre una salsa speciale veniva preparata in uno scaldavivande d’argento molto antico.

biscotti2Per Alice B. Toklas i francesi hanno un modo tutto loro di accostarsi al cibo. Per cucinare i francesi (gli uomini francesi) ci mettono lo stesso impegno che riservano ad altre arti come la pittura, la letteratura e il teatro. Spesso, infatti, nei salotti letterari o politici è molto facile che una conversazione si sposti su argomenti come la compilazione del menù o l’accostamento di certi vini.
Per i francesi la cucina ha origini profonde nella cultura e si è continuata a evolvere per secoli migliorandosi sempre. In cucina non sono ammesse esagerazioni e il rispetto della qualità col sapore tipico di ogni ingrediente sono aspetti fondamentali. Non tutti i sapori, infatti, si amalgamano in modo soddisfacente. E certe capacità non si imparano così facilmente perché è assolutamente necessario coltivarle.

Alice B. Toklas, I biscotti di Baudelaire, traduzione di Marisa Caramella, Bollati Boringhieri, 2013.

Il testo e il mondo

Guido Paduano, Il testo e il mondoSi ė sovente scritto che la letteratura non ė definibile. “La letteratura è la letteratura, quello che le autorità (i professori, gli editori) includono nella letteratura”, scrive il critico strutturalista Antoine Compagnon.
Forse la letteratura è oggi una marca d’eccellenza che aggiunta o no a un testo ne determina l’inclusione o l’esclusione da essa…
Forse letteratura è qualunque testo stampato oppure sono letterarie sono solo le opere di invenzione come i drammi, i poemi lirici, l’epica e i romanzi?
Quello che ė certo è che oggi la prosa ha invaso i territori del verso sia in ambito narrativo che drammatico o lirico e che il romanzo ha oramai preso il posto del poema epico… Eppure ci sono dei canoni che vanno rispettati.
Ogni opera letteraria può essere una delizia per la mente e ha al suo interno un’idea di mondo, oltre a un notevole bagaglio di esperienze che possono pesare sulla formazione delle persone.
Ma oggi è ancora possibile sottoporre un’opera letteraria un giudizio di valore? E il giudizio di valore risulta ancora discriminante per considerare significativo il ruolo della critica? E la critica letteraria si può ancora definire un “discorso sulla letteratura”? Chissà… Forse oggi l’unica forma davvero efficace di critica è la quantità dei lettori?

Guido Paduano, Il testo e il mondo, Bollati Boringhieri, 2013.

L’invenzione della natura selvaggia

natselvaggiaFranco Brevini aveva già in mente un libro sulla natura e forse ne aveva anche scritto in varie occasioni e nei modi più disparati, in margine ai suoi viaggi negli angoli più remoti del mondo.
Nei testi che aveva composto mancava però qualcosa perché non riusciva mai a rispondere a tutte le domande che lo affollavano ogni volta che partiva.
“Cos’è la natura selvaggia che tanto mi affascina? Qual è il nostro rapporto con essa? Quale era stato invece il rapporto delle generazioni che ci avevano preceduto nei secoli passati? Quando era nata l’idea di natura selvaggia? E ancora, a che punto siamo a oltre due secoli dalla sua scoperta? Quale la sorte delle ultime frontiere del pianeta?”
Stimolato da queste grandiose domande, Brevini ha voluto impiegare al meglio gli strumenti del suo mestiere di studioso, verificandoli anche sul campo nelle diverse esperienze compiute sul pack, nella giungla, nel deserto o tra le catene himalayane e gli altipiani andini.
Quello della natura ė un tema poco canonico per un italianista, ma Brevini, con la sua scrittura, riesce a far emergere ugualmente lo spessore storico, sociale e antropologico raccontando esperienze in prima persona nella wilderness, evocando in modo sapiente immagini e luoghi di vita, ma anche raccontando l’allarme ecologico che ha diffuso la consapevolezza di una comunanza di destino tra l’umanità e il pianeta.
Un libro che svela meravigliosamente la realtà e le apparenze. Uno sguardo irresistibile sul mondo, una sorpresa continua.

Franco Brevini, L’invenzione della natura selvaggia, Storia di un’idea dal XVIII secolo, Bollati Boringhieri, 2013.