Il testo e il mondo

Guido Paduano, Il testo e il mondoSi ė sovente scritto che la letteratura non ė definibile. “La letteratura è la letteratura, quello che le autorità (i professori, gli editori) includono nella letteratura”, scrive il critico strutturalista Antoine Compagnon.
Forse la letteratura è oggi una marca d’eccellenza che aggiunta o no a un testo ne determina l’inclusione o l’esclusione da essa…
Forse letteratura è qualunque testo stampato oppure sono letterarie sono solo le opere di invenzione come i drammi, i poemi lirici, l’epica e i romanzi?
Quello che ė certo è che oggi la prosa ha invaso i territori del verso sia in ambito narrativo che drammatico o lirico e che il romanzo ha oramai preso il posto del poema epico… Eppure ci sono dei canoni che vanno rispettati.
Ogni opera letteraria può essere una delizia per la mente e ha al suo interno un’idea di mondo, oltre a un notevole bagaglio di esperienze che possono pesare sulla formazione delle persone.
Ma oggi è ancora possibile sottoporre un’opera letteraria un giudizio di valore? E il giudizio di valore risulta ancora discriminante per considerare significativo il ruolo della critica? E la critica letteraria si può ancora definire un “discorso sulla letteratura”? Chissà… Forse oggi l’unica forma davvero efficace di critica è la quantità dei lettori?

Guido Paduano, Il testo e il mondo, Bollati Boringhieri, 2013.

L’invenzione della natura selvaggia

natselvaggiaFranco Brevini aveva già in mente un libro sulla natura e forse ne aveva anche scritto in varie occasioni e nei modi più disparati, in margine ai suoi viaggi negli angoli più remoti del mondo.
Nei testi che aveva composto mancava però qualcosa perché non riusciva mai a rispondere a tutte le domande che lo affollavano ogni volta che partiva.
“Cos’è la natura selvaggia che tanto mi affascina? Qual è il nostro rapporto con essa? Quale era stato invece il rapporto delle generazioni che ci avevano preceduto nei secoli passati? Quando era nata l’idea di natura selvaggia? E ancora, a che punto siamo a oltre due secoli dalla sua scoperta? Quale la sorte delle ultime frontiere del pianeta?”
Stimolato da queste grandiose domande, Brevini ha voluto impiegare al meglio gli strumenti del suo mestiere di studioso, verificandoli anche sul campo nelle diverse esperienze compiute sul pack, nella giungla, nel deserto o tra le catene himalayane e gli altipiani andini.
Quello della natura ė un tema poco canonico per un italianista, ma Brevini, con la sua scrittura, riesce a far emergere ugualmente lo spessore storico, sociale e antropologico raccontando esperienze in prima persona nella wilderness, evocando in modo sapiente immagini e luoghi di vita, ma anche raccontando l’allarme ecologico che ha diffuso la consapevolezza di una comunanza di destino tra l’umanità e il pianeta.
Un libro che svela meravigliosamente la realtà e le apparenze. Uno sguardo irresistibile sul mondo, una sorpresa continua.

Franco Brevini, L’invenzione della natura selvaggia, Storia di un’idea dal XVIII secolo, Bollati Boringhieri, 2013.

Bugie bianche

gilliesNel pomeriggio di una calda estate, Ursula Salter torna sconvolta dal lago della tenuta scozzese dei suoi genitori e confessa di aver ucciso Michael, il suo nipote di diciannove anni.
Ma cosa è successo veramente? Non si trova nessun corpo e la storia che Ursula racconta è strana e piena di contraddizioni. Per proteggerla, la sua famiglia proverà a dare un’altra versione dei fatti, ma sarà una decisione che qualcuno rimpiangerà di aver dato.
La narrazione ruota intorno a Peattie, sede della famiglia Salter, una proprietà remota e isolata nelle Highlands scozzesi, una vecchia casa congelata nel tempo come un castello delle fiabe in cui regna un segreto triste, custodito da anni. Un pesante fardello familiare fatto di dolore, senso di colpa e inganni.
Ma che cosa succederà quando questo carico così opprimente diventerà troppo difficile da sopportare?
Bugie bianche è un romanzo d’esordio sorprendente, elegante e coinvolgente come pochi di questi tempi.
Un grande thriller psicologico, ma anche un intrigante labirinto di storie oscure e inquietanti che trasportano sinuosamente il lettore avanti e indietro nel tempo. Un’inconsueta narrazione in cui si colgono diversi echi  di Gita al faro.
Andrea Gillies scrive con eleganza e garbo, evocando un vivo senso del luogo. Un talento davvero bruciante (come è stato anche definito), una voce narrante accorta e sensibile di notevole spessore.

Andrea Gillies è nata a York e ha lavorato come sceneggiatrice teatrale, pubblicitaria e come giornalista. Ha vissuto a lungo in una casa vittoriana nelle Highlands scozzesi con i figli e prendendosi cura della suocera, affetta da una grave forma di demenza senile; un periodo documentato in un memoir, Keeper, che l’ha resa celebre e le è valso il Wellcome Trust Book Prize nel 2009 e l’Orwell Book Prize nel 2010.

Andrea Gillies, Bugie bianche, traduzione di Massimo Ortelio, I narratori delle Tavole, Neri Pozza, 2013.

Il pollo di Newton

Massimiano Bucchi, Il pollo di NewtonLa scienza tratta spesso della vita di tutti i giorni e ci spiega per bene i meccanismi che governano le file al supermercato, i segreti fisico-matematici del gioco del calcio, ma anche i motivi per cui la maionese “monta” o “impazzisce”.
La scienza, insomma, entra addirittura in cucina e ha di bello che si mette a fianco del senso comune spesso illuminando anche i cuochi che, come dice Piero Angela, “sono, a modo loro, inventori di reazioni chimiche”.
Utilizzare la cucina e i suoi segreti per presentare e divulgare la scienza è oggi diventato uno sport molto comune. Libri di divulgazione, installazioni negli science centres, programmi alla televisione e alla radio, giochi per ragazzi invitano a scoprire questi segreti, propongono “ricette per divertirsi con la scienza”, “ricette-esperimenti per imparare la scienza e la nutrizione” e persino “laboratori epicurei in cui esplorare la scienza della preparazione dei cibi”.
La presentazione della cucina come scienza non è però qualcosa di nuovo, anzi. Fin dal XVII secolo, la preparazione del cibo e le attività domestiche cominciarono ad essere presentate come abilità tecniche sofisticate e degne di essere conosciute dal punto di vista scientifico. Già Tommaso Garzoni nel 1585 scriveva che i beccari, i macellai, “sono poco differenti dagli Anatomisti, e solamente da loro disgradano in questo, che gli Anatomisti scorticano e smembrano i cadaveri umani e qualche volta tagliano ancora i vivi, ma i beccari sbrannano e disfanno quei delle bestie e animali con molto minor pietà che nell’officina d’Anatomia non si costuma.”
Durante l’Ottocento, l’attenzione alla cucina come scienza diventa un vero e proprio fenomeno e si assisterà, tra la fine del secolo e gli inizi del ‘900, a un fiorire di pubblicazioni che promettono di portare la scienza in cucina (rivoluzionandola scientificamente) rimpiazzando “pratiche obsolete e incongruenti così come la scienza aveva fatto per l’alchimia”.

Massimiano Bucchi è docente di sociologia della scienza e comunicazione della scienza presso l’Università degli Studi di Trento e membro del comitato scientifico di Observa Science in Society, un centro di ricerca no profit che si occupa dei rapporti tra scienza e società.

Massimiano Bucchi, Il pollo di Newton. La scienza in cucina, collana Biblioteca della Fenice, Guanda, 2013.

L’uomo, i libri e altri animali

Remo Ceserani-Danilo Mainardi, L'uomo, i libri e altri animaliRemo Ceserani e Danilo Mainardi si sono ritrovati dopo molti anni. Erano stati compagni di scuola, ma poi ognuno ha preso la propria strada. Mainardi è andato all’università a Parma, dove ha trovato maestri di grande fama nel suo campo. Remo Ceserani si è invece laureato a Milano ed è andato a perfezionarsi in letterature comparate negli Stati Uniti (per poi tornare in Italia).
In questo splendido libro, Ceserani e Mainardi conversano sul tema delle analogie e delle differenze (soprattutto delle possibili convergenze) tra i loro campi di ricerca (la biologia, l’etologia e la letteratura) e le loro differenti esperienze. Dialogano attorno ad alcune parole-tema e lo fanno con cognizione di causa e grande esperienza. Offrono di continuo spunti e aiutano a conoscere argomenti anche difficili in modo chiaro e comprensibile, toccando temi spesso agli antipodi fra loro.

Caro Danilo, torno a parlarti di un testo di Italo Calvino, tratto dalle Cosmicomiche (1968), un libro che sembra dar forma a un’idea di cui tu mi hai parlato in precedenza: quella della lunghissima storia dell’evoluzione e dell’inutile diatriba fra saltazionisti e gradualisti. Calvino, lavorando d’immaginazione e cercando di penetrare nei segreti della memoria del mondo, probabilmente darebbe ragione a entrambi. I personaggi delle sue cosmicomiche viaggiano su tempi lunghissimi ma possono anche concentrare lunghi tratti di tempo (e di spazio) nelle misure di una battuta o di una striscia dei comics o di un episodio del cinema hollywoodiano, quello che mette in scena sentimenti elementari, miti collettivi di grande pregnanza e semplicità.

Caro Remo, nella vita accademica m’è capitato, in differenti periodi e per studenti di diverse facoltà (scienze, medicina, perfino farmacia), di tenere il corso di biologia generale. Per quasi tutti si trattava di un corso del primo anno. Dovevo dunque cercare di dare loro, certo interessati ma ancora piuttosto ingenui, un’idea generale di cosa fosse la biologia e soprattutto di come la si dovesse affrontare. Parallelamente al mio corso, gli stessi miei studenti ne seguivano infatti altri di «base», come chimica, fisica, matematica, e in particolar modo mi piaceva far loro capire quella che chiamavo la «diversità» della biologia. Spiegavo che la vita era apparsa sul nostro pianeta poco meno di quattro miliardi di anni fa, in principio con forme semplicissime poi evolvendosi, differenziandosi e complicandosi sempre più, ma che comunque tutti i viventi erano tra loro parenti, come attesta la presenza in tutti dello stesso codice genetico, e che la vita – se tutto va bene – avrà termine tra circa cinque miliardi di anni, quando il Sole si spegnerà. La vita dunque altro non è che un unico, seppure lungo, episodio. Gli studiosi della biologia non possono perciò che essere innanzitutto degli storici: studiosi di una storia naturale che, comunque, non potrebbe mai ripetersi uguale a come è stata, con le stesse specie, i suoi rigogli, le sue crisi, i suoi equilibri e squilibri, estinzioni e nuove comparse, mescolamenti. Parlare di un episodio significa infatti sottolinearne il carattere irripetibile. Proprio in ciò sta la diversità dello studio della biologia rispetto a quello delle altre discipline. La stessa constatazione non la si può certo fare per la matematica, per la fisica. Quasi certamente nemmeno per la chimica. Perché questi scienziati vanno alla caccia di regole ben più generali, prescindibili, credo, dal fatto che il loro oggetto di studio si trovi su questo o su altri pianeti.

Remo Ceserani-Danilo Mainardi, L’uomo, i libri e altri animali, Il Mulino, 2013.

Una tale levità

I racconti di PietroburgoChe bello leggere i Racconti di Pietroburgo di Nikolaj Gogol’ tradotti da Tommaso Landolfi. Il suo tono possiede una tale levità, una nitidezza, un’ariosità, una letizia tragica e una ricchezza simbolica che stupiscono.
“Gogol’”, scriveva Landolfi, “rivendica lo spaventoso privilegio della sua disperazione, della sua conscia impotenza, della sua inadattabilità all’assurdo e vuoto mondo degli uomini”.
I Racconti di Pietroburgo, pubblicati dall’autore fra il 1836 e il 1842, hanno come tema comune la città di Pietroburgo e uno stile ironico e grottesco peculiare. Risalgono agli anni tra il 1935 e il 1940 e sono stati scritti da Gogol’ tra il periodo giovanile e Le anime morte, il capolavoro della maturità.
Gogol’ scrive della vita piccolo borghese di artisti, piccoli funzionari e artigiani tra vizi e povertà.
Colpisce l’intrusione del fantastico, del magico e della pazzia. Colpiscono tutte quelle indistinte sensazioni, con la loro qualità sensuale o tattile, che si insediano nella mente leggendolo.

Tommaso Landolfi è annoverato tra i grandi scrittori del Novecento italiano. Laureato a Firenze in Lingua e Letteratura russa con una tesi su Anna Achmatova, è stato anche un grande traduttore dal russo, dal francese e dal tedesco, ma anche profondo conoscitore delle letterature di queste lingue. Ha tradotto Puskin, Turgenev, Dostoevskij, Tolstoj, Cechov, Lermontov, Tjutcev e Leskov.

La Prospettiva è il luogo di convegno di tutta Pietroburgo. L’abitante della Vecchia Pietroburgo, o dei quartiere di Vyborg, che non abbia veduto da tanti anni un amico dei Peski o della Barriera Moscovita, può esser sicuro che l’incontrerà qui… Nessun annuario d’indirizzi o posto d’informazioni fornisce notizie tanto sicure quanto la Prospettiva. Onnipotente Prospettiva! Unica distrazione del povero che va a spasso per Pietroburgo! Come sono accuratameiite scopati i suoi marciapiedi e, Dio, quanti piedi ci hanno lasciate le loro orme! Il rozzo, fangoso stivale del soldato in ritiro, sotto il cui peso il granito stesso par gemere, la scarpetta in miniatura, leggera come un vapore, d’una giovane dama che volge la sua testina alle brillanti vetrine d’un negozio come il girasole si volge al sole, la tintinnante sciabola del tenentino pieno di speranze, che graffia profondamente il selciato, ogni cosa rimpasta in quella strada la potenza della forza o la potenza della debolezza. Che rapida fantasmagoria vi si compie nel corso d’una sola giornata! Quanti cambiamenti subisce la Prospettiva nel corso di sole ventiquattro ore!

Nikolaj Gogol’, Racconti di Pietroburgo, traduzione di Tommaso Landolfi, gli Adelphi, 2013.