Picnic a Hanging Rock

All’inizio del secolo durante un picnic ai piedi della Hanging Rock vicino a Melbourne in Australia due avventurose studentesse dell’Appleyard College, retto da una signora dal passato forse un tantino misterioso e una loro arcigna professoressa, che avevano voluto vedere più da vicino la magica nera roccia vulcanica, sparirono senza lasciare la minima traccia e non furono più ritrovate, nonostante le indagini della polizia e l’abnegazione di giovani volontari.
Dall’episodio la scrittrice australiana Joan Lindsay ha tratto ispirazione per un angoscioso romanzo d’atmosfera gotico-aborigena che, uscito nel 1967, a sua volta è stato letto per il cinema nel 1975 dal regista Peter Weir in un’inquietante pellicola divenuta col tempo un autentico cultmovie.
Uscito per la prima volta in Italia dieci anni fa nelle edizioni La Rosa, il libro è stato ripresentato, con la stessa traduzione, nella bella collana della Sellerio.

Dove finiscono le mappe

La storia delle esplorazioni e dei viaggi per terra e per mare è anche la storia dell’animo irrequieto dell’uomo, delle sue proiezioni immaginarie, delle sue prevaricazioni, delle sue conquiste materiali, dei suoi desideri, dei suoi istinti, compresi quelli più disumani e spregevoli.
Con l’impresa di Ferdinando Magellano, protrattasi dal 1519 al 1522 e narrata dal vicentino Antonio Pigafetta nel Viaggio fatto da gli Spagnuoli atorno a ‘l mondo, la parola navigazione acquista un nuovo e più preciso significato. E’ la circumnavigazione del globo, il viaggio per mare senza soluzione di continuità che, facendo combinare il punto di partenza con quello d’arrivo, traduce nella concreta e pratica sfera l’immagine della terra teorizzata dagli astronomi e disegnata dai cosmografi.
Nel 1550 il veneziano Giovan Battista Ramusio scriverà che «Il viaggio fatto per gli Spagnuoli intorno al Mondo è una delle più grandi e meravigliose cose che si siano intese a’ tempi nostri: e ancor che in molte cose noi superiamo gli antichi, pur questo passa di gran lunga tutte l’altre insino a questo tempo ritrovate…»
Attilio Brilli, sempre per le edizioni Il Mulino, ha scritto di viaggi di istruzione e di diletto. Ora con Dove finiscono le mappe scrive (col suo consueto tocco sottile e raffinato) dei viaggi di esplorazione e di conquista intrapresi in età moderna dagli europei oltre i confini delle mappe del mondo conosciuto alla scoperta di nuove terre. All’origine dei grandi viaggi d’esplorazione c’erano molteplici fattori: progressi   tecnologici (nell’arte della navigazione, nella costruzione di navi, nelle armi da fuoco…), motivazioni ideali (il desiderio di avventura e di arricchirsi, la volontà di diffondere il messaggio cristiano presso gli altri popoli…), fattori economici e demografici (trovare  grandi quantità d’oro e d’argento, aggirare l’intermediazione dei veneziani e dei turchi nel commercio delle spezie, bisogno di nuove terre da coltivare…). Ma la spinta  decisiva venne dalle monarchie nazionali (per prime quella portoghese e spagnola) che erano alla ricerca di nuove risorse per rafforzare il loro potere e speravano di ricavare grandi ricchezze dai viaggi di esplorazione.

Twitter:@marcoliber


Attilio Brilli

Dove finiscono le mappe
Il Mulino
2012

Pecoranera

Come Henry David Thoreau che andò nei boschi perché voleva “vivere in profondità e succhiare tutto il midollo della vita… per non scoprire in punto di morte di non aver mai vissuto”, Devis Bonanni, ragazzo friulano della Carnia, vuole vivere a contatto diretto con la natura sposando uno stile di vita frugale che però non taglia a priori tutti i ponti con la modernità.
Come Thoreau, Devis confida nella natura come fonte di ispirazione morale e difende la sua vita semplice che forse è davvero un modo di vivere felici nel mezzo di istituzioni sociali fallimentari.
Tutto parte nel 2003 quando Devis, compiuti i ventitrè anni, si trasforma da tecnico informatico in agricoltore di sussistenza trasferendosi in una casetta in legno minimale nelle campagne di Raveo (Raviei in friulano), alle pendici del Monte Sorantri, in Val Degano, sulla sponda destra dell’omonimo torrente, nella regione alpina della Carnia.
Devis si scalda con la legna grazie a un vecchia spolert e produce elettricità grazie a un pannello fotovoltaico, ha una serra e produce degli ortaggi con cui si alimenta, ma che anche vende per guadagnarsi i 200 euro al mese che gli servono per eventuali spese o qualche sfizio. Non paga quindi affitto o bolletta del gas. Si sposta in bicicletta e ascolta la radio, usa il cellulare e il computer.
Pecoranera è un progetto di vita alternativo, più attento all’ambiente e alle persone – ha raccontato Devis al Gazzettino – un progetto che in sostanza aspira al ritorno alla coltivazione della terra per poi imparare a vivere in maniera diversa”.
Ma come ha reagito a questa sua iniziativa chi gli vive vicino? “Sicuramente è più facile comunicarla a coloro che vengono da fuori a cercarti: nei primi anni è stato invece un po’ difficile spiegare quello che facevo al paese e nel circondario, tutto ciò poi viene visto più di buon occhio dagli anziani che non dai 40-50enni, perché uno stile di vita di questo genere mette più in discussione quello che ha fatto la generazione dei nostri genitori che non quella dei nostri nonni”.
Devis Bonanni ha un chiodo fisso: che “il più piccolo degli orti è esso stesso compendio dell’intero Pianeta, una metafora tessuta da fibre vegetali, terra e acqua che ci insegna un modo responsabile di vivere il palcoscenico più grande, quello fatto di fiumi, montagne, mari, pianure. L’orto dona una visione privilegiata a chi lo coltiva. Serenità e una spolverata di saggezza. Così percorriamo le geometrie di ortaggi e ne usciamo pronti per affrontare le noie quotidiane.”
Il motto del suo blog sul web è “Pecoranera, esci dal gregge!”. Lui, Devis Bonanni, dal gregge c’è uscito eccome…

Twitter:@marcoliber


Devis Bonanni

Pecoranera
Collana Gli specchi
Marsilio
2012

Cavaliere errante o moderno hippie?

Nell’agosto del 1966 due scalatori tedeschi tentano un’ascensione alla parete Ovest del Dru (Monte Bianco). Sorpresi da una tempesta, sono salvati soprattutto dal coraggio di un alpinista americano, Cary Hemming, straordinario incrocio tra un antico Cavaliere Errante e un moderno hippie. Da quel momento Gary diventa una star: giornali e tv fanno a gara per intervistarlo, ma lui continua la sua vita di sempre: calzoni di velluto giallo-roccia e maglione rosso, sdruciti, nugoli di ragazze che spasimano per i suoi occhi azzurri e il suo metro e 90 d’altezza, la malinconia d’essere respinto dalla sola di cui è innamorato e un sacco di tela con dentro fogli bianchi da riempire e tanti sogni di scrittore.
Continua a sfidare le montagne, in America e in Europa, va a Parigi e in Svezia, poi torna nel Wyoming.
Spirito liberal, una notte viene pestato a sangue da certi cowboy, simpatizzanti di Goldwater, il rivoluzionario dell’Arizona interprete dei sentimenti conservatori di una certa America.
Qualche tempo dopo è trovato morto. Il coroner decreta: suicidio. Ma c’è chi dubita.

Gli occhi neri e brillanti di Sonam Sherpa

Sonam Sherpa indossa un paio di jeans e una maglietta a righe. Ha i capelli ben pettinati e un’aria tranquilla. Qualche volta pare che si annoi e sembra pensi a qualcos’altro, a qualcosa di distante e staccato. Allo stesso tempo, i suoi occhi neri e brillanti sembrano ricercare ogni dettaglio. Ha lo sguardo intelligente Sonam, quel modo estemporaneo di sorridere e poi di ridere… Sembra ci sia qualcosa di sovrumano e trascendente in certe sue espressioni. Sonam Sherpa non è andato a scuola, eppure parla diverse lingue e sa contare molto bene. Pronuncia ogni parola con lo stesso tono di voce, ma lo fa in modo efficace, incisivo, persuasivo. Non è un tipo che parla molto, è uno che guarda negli occhi il suo interlocutore, resta per un attimo in silenzio, fa un cenno con la testa e le parole gli escono dalla bocca con equilibrio e sobrietà. Dopo dieci minuti di discussione Sonam vaglia il suo interlocutore e raramente si sbaglia. A prima vista, Sonam non sembra l’uomo di potere che è. I suoi gesti e il suo atteggiamento esprimono misura, equilibrio, moderazione, soprattutto desiderio di non apparire.
Jean-Michel Asselin lo ritrova dietro il tavolo di legno scuro di un  ufficio. Dietro di lui, un grande quadro rappresenta il Potala, la dimora del Dalai Lama a Lhasa. Un cielo agitato, blu scuro, contrasta con il palazzo bianco e rosso. Per Sonam, come per la maggior parte degli sherpa, quella costruzione non è solo un monumento, ma, come il Kailash, la grande montagna sacra, un oggetto di meditazione, una porta aperta sul mistero e la verità soprannaturale…

Con questo saggio-intervista, il giornalista e alpinista francese Jean-Michel Asselin ci rivela le molteplici sfaccettature di questo personaggio sorprendente che è Sonam Sherpa, grande guida alpina nepalese che nel corso degli anni ha accompagnato nomi celebri dell’alpinismo mondiale, da Messner a Gerlinde Kaltenbrunner e a Edurne Pasaban.
Un libro, questo, che ci racconta la vita di quest’uomo fuori del comune dalla volontà di ferro, oggi uno dei più importanti imprenditori del turismo in Nepal, che con il denaro guadagnato ha voluto creare anche una fondazione che aiuta le vedove degli sherpa.
Una storia vera, Sonam Sherpa, che racconta soprattutto la vita degli sherpa, della loro gioia e dei loro i canti, ma anche degli effetti della globalizzazione in Nepal e del futuro di questi luoghi unici e incomparabili.

Twitter:@marcoliber


Jean-Michel Asselin

Sonam Sherpa
Storia di un uomo che accompagna in vetta i più grandi alpinisti della terra
Corbaccio
2012

I racconti del west di Crane

Stephen Crane, nato nel New Jersey nel 1873 e morto in Germania, appena ventisettenne autore di quello straordinario libro di guerra così teneramente pacifista che è Il segno rosso del coraggio, si presenta ne I racconti del west come un geniale narratore western. Geniale perché, paradossalmente, smitizza il mito del cow-boy e di tutto l’armamentario di retorica virile che lo circonda, prima, badate bene, prima che il cinematografo lo abbia creato, anticipando addirittura le successive letture critiche hollywoodiane.
Ambientati fra il Texas e il Messico, i suoi racconti mettono in scena cowboy ubriaconi, lesti di pugni e di Colt, giovani avventurieri che campano di strane scommesse, giocatori di professione con un loro codice morale, “stranieri” troppo pronti alla rissa, rudi sceriffi visti come impacciati sposini. Una lettura, credetemi, entusiasmante. Anche se siete tra coloro che, quando irrompe un “arrivano i nostri” sullo schermo televisivo, cambiano subito canale…

Dissertando dei Massimi Sistemi

Robert M. Pirsig è l’abbastanza misterioso autore de Lo Zen e l’arte della manutenzione della motocicletta, un romanzo-saggio che, non soltanto negli Usa, è diventato, lievitando di anno in anno, dopo la sua pubblicazione nel 1974, un autentico cultbook. Questa volta il mezzo di locomozione non è una rombante due ruote, ma una barca a vela, con la quale il protagonista, che è poi lo stesso autore del precedente bestseller, viaggia pigramente incontrando “colleghi” di randa e la giovane donna che dà il titolo al libro, ma soprattutto dissertando, com’è sua consuetudine, dei Massimi Sistemi: degli errori «sempre più evidenti della scienza vittoriana, dell’antropologia culturale», di una sua Metafisica della Qualità, della civiltà conculcata degli Indiani d’America, di religione, di computer e di Woody Allen.
Magmatico, caotico, fitto di dissertazioni che possono far perdere il filo della narrazione al lettore meno smaliziato o non preparato al folle zigzagare del Pirsig-pensiero…


Robert M. Pirsig

Lila
(traduzione di Adriana Bottini)
Adelphi
1995